AUTONOMIA ENERGETICA E ALIMENTARE, UNA STRADA PER LA PACE E LA GIUSTIZIA CLIMATICA

SETTIMANA UNESCO PER L’EDUCAZIONE ALLA SOSTENIBILITA’ TEMI E INIZIATIVE PER L’ANNO 2022 DECISE DAL COMITATO NAZIONALE PERIODO: DAL 21 AL 27 NOVEMBRE
Qual è il percorso della pace in un mondo in cui i conflitti armati si protraggono, ferite dolorose, in tutti i Continenti a decine e decine dalla Seconda guerra mondiale mentre sempre più si accentua uno scontro metafisico tra imperi per chi controllerà il mondo? La scellerata guerra di Putin contro l’Ucraina sembra, però, poterci fornire alcune lezioni essenziali, anche in un frangente in cui la più vasta esperienza di democrazia dai tempi di Clistene, l’Unione Europea, è messa duramente sotto attacco.
La prima e fondamentale lezione è costruire un mondo fondato sull’autonomia energetica e alimentare. Il rendersi indipendenti dal gas russo, problema drammatico per molti Paesi europei, ha segnalato la questione del rendersi indipendenti da tutto il gas, non solo quello russo, superando più in fretta possibile quella transizione basata sul gas naturale che molti Paesi hanno affrontato in ritardo continuando a puntare sui combustibili fossili più inquinanti, carbone e petrolio. Non è impossibile, già oggi l’Unione europea produce con FER (fonti di energia rinnovabile) quasi il 30% del suo fabbisogno, ma le stesse Cina e India, regni del carbone, hanno superato il 10% di produzione elettrica da FER e gli obiettivi che hanno assunto al 2030, in conformità con i goal dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite parlano di drastiche riduzioni delle emissioni di CO2.
Le tecnologie ci sono, ma sono sottodimensionati i grandi investimenti, soprattutto a causa dei non adeguati indirizzi di politica economico-sociale espressi dai Governi dei più grandi Paesi. Non sono ovviamente soli sulla scena. Ci sono colossali lobby che remano contro, come quella “Oil & Gas”, che nella UE ha associato a sé, per iniziativa francese, il nucleare producendo l’ossimoro di queste due fonti come sostenibili nella tassonomia che qualifica gli investimenti nella UE. Una dura battuta d’arresto, proprio mentre l’eccezionale siccità che ha colpito l’Europa – in particolare quella Occidentale con rovinosi roghi e i 40°C toccati in Inghilterra – si presenta come uno dei cavalieri dell’Apocalisse del climate change globale. Infatti, sono sterminate le aree in cui l’aridificazione avanza verso la desertificazione, un percorso inesorabile che ha cominciato a trovare risposte da alcuni grandi progetti come la “Great Green Wall” – una striscia di vegetazione, larga 16 km e lunga 8000 km, daGibutialSenegal– iniziato nel 2007 e che vedrà la conclusione nel 2030 con circa 25 miliardi di dollari investiti per ridare vita a cento milioni di ettari di Sahara.
Di grandi progetti, di un cospirare per la loro formulazione a livello mondiale c’è bisogno anche per affrontare il grande tema del fabbisogno alimentare, che si sta purtroppo allontanando dai goal 2030. La questione del grano bloccato in Ucraina a causa della guerra ha acceso drammaticamente il faro su una questione che nel discorso pubblico ha spesso, purtroppo, carattere carsico. Le quote di frumento, cereali e mais dall’Ucraina, necessarie alle popolazioni cui sono state promesse e possibile primo passo verso una faticosissima trattativa di pace, hanno però un valore residuale. Sono i grandi produttori che dispongono di fino a dieci volte il volume dei raccolti ucraini, Cina e Stati Uniti in testa, che si devono impegnare in prima persona per una risposta a queste esigenze. Ben sapendo che chi a livello Onu è istituzionalmente preposto alla “fame nel mondo”, la Fao, incontra infiniti ostacoli, non solo per la “scarsezza” degli aiuti, ma, principalmente, per la difficoltà distributiva, le guerre eternamente in corso, i regimi corrotti e autoritari pronti ad approfittarne per mantenere le loro clientele e via elencando. Allora, si dispieghi un impegno analogo a quello della lotta al cambiamento climatico, del quale tante volte ci si è lamentati per la timidezza dei suoi obiettivi e delle azioni conseguenti, ma che è a tutt’oggi un buon esempio, man mano che gli Accordi di Parigi divengono realizzazioni crescenti.
Ugualmente forte e comune deve essere l’impegno contro la siccità e per le riserve d’acque dolci, con azioni non “reattive”, cioè emergenziali, ma “proattive”, cioè di prevenzione, come ha richiesto a maggio la Conferenza mondiale di Abidjan (Cote d’Ivoire) dell’UNCCD (United Nation Convention to Combat Desertification). «La siccità è inestricabilmente intessuta con la triplice crisi planetaria: climate change, perdita di biodiversità, inquinamento da rifiuti», ha ammonito l’UNEP nel rapporto emesso in occasione della giornata mondiale della siccità, il 17 giugno scorso. Aggiungendo che quasi il 40% delle terre è degradato – deforestazione, drenaggio di terre umide, montagne erose, terreni da coltivazione super sfruttati – e a questo degrado, che già «colpisce metà umanità», corrisponde una minaccia pari a metà del Pil mondiale (44 mila mld di dollari)».
La curva che mostra nel tempo l’andamento annuale delle masse ghiacciate – l’Antartide ne rappresenta oltre il 90% – segna da sessant’anni una preoccupante decrescita che si sta accentuando nell’ultima decade. La riduzione drammatica dei ghiacciai comporta una riduzione dell’acqua potabile superficiale – laghi, fiumi, bacini idrici – consegnando alla sete quelle popolazioni che non dispongono di analoghi quantitativi di acque sotterranee; e mettono in crisi tutti quei comparti industriali, a cominciare dagli impianti termoelettrici, nucleari o a combustibili fossili, che richiedono grandi quantitativi d’acqua di processo e/o di raffreddamento. La preoccupazione per la mancanza d’acqua ha afflitto l’agricoltura delle aree europee più forti nel settore primario e la minaccia della siccità colpirà i tre quarti della popolazione mondiale entro il 2050, con problemi non certo solo agricoli. Come già è accaduto, ad esempio, nel dimenticato e perdurante conflitto siriano, con ingestibili immigrazioni interne e con ondate di emigranti disposti a sobbarcarsi a rischi mortali, pur di fuggire dall’invivibilità del loro presente, come racconta il dramma quotidiano nel Mediterraneo dei barconi di disperati, caricati dai trafficanti di carne umana.
A fronte di questo quadro, la “giustizia” come doveroso requisito delle “transizioni energetiche” promanate coi PNRR del Recovery Fund della UE, rischia di non rappresentare molto di più di un’omelia domenicale. Sono, insomma, prioritari un impegno e un’iniziativa comune globale, come globale è il complesso delle drammatiche minacce all’uomo e all’ambiente. Questo impegno non può essere delegato alle Nazioni Unite, alle sue Agenzie e alle sue Conferenze, al più ne potranno ispirare e coordinare le attività conseguenti. Ci vuole un patto mondiale che obblighi i grandi Paesi a scendere dal mondo iperuranio di “chi controllerà il mondo”, e con chi schierarsi, per affrontare con grandi progetti e corrispondenti investimenti il conflitto in corso con la carestia alimentare e sanitaria, con la siccità e l’immiserirsi delle disponibilità d’acqua, funeste conseguenze dello sconvolgimento climatico, contro il quale, in parte e seppure con ritardo, si sta dando mano.
Allora, restiamo a guardare fino a quando il quadro non migliora? No, l’instaurarsi di questo sentire comune, di agire comune dei Governi dei Paesi richiede la mobilitazione quotidiana di tutti i cittadini, com’è avvenuto da decenni e sta continuando ad accadere in tutto il mondo contro il global warming. Con la capacità di contaminare con la cultura e le proposte gli uffici burocratici del Potere. E in misura crescente.
Sarà questa esperienza generale a rappresentare momenti fondamentali di education, di interdisciplinarità, di creazione comune del sapere che serve. A dare una risposta, la più piena, all’obiettivo 4, quality education, dell’Agenda 2030, e alle intersezioni che presenta con gli altri goal: fame, povertà, ingiustizia climatica, acqua pulita, energia pulita.
I presidenti CNESA 2030
Aurelio Angelini – Massimo Scalia
Tematiche correlate:— Riforma costituzionale art. 9 e 41— Giustizia climatica— Bioregionalismo— Comunità energetiche— Sovranità alimentare— Migrazioni/guerre e Clima— Competenze green— Clima— Zero: emissioni, suolo e rifiuti.
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